In abito industriale e soprattutto tecnologico si parla di obsolescenza. La tecnologia procede rapidamente e i dispositivi con qualche anno sulle spalle rischiano di diventare inadeguati. Questa è la normale obsolescenza, quando l’hardware raggiunge i propri limiti per naturale decadenza (come nel caso delle batterie), oppure quando diventa inadeguato per eseguire i nuovi software, in quanto non abbastanza potente. Oggi invece, parliamo di obsolescenza programmata. Questa pratica commerciale scorretta, mira ad accorciare la vita utile di un dispositivo, per portare i consumatori ad effettuare un nuovo acquisto.
Ci sono in generale tre modi volti ad accorciare la vita utile di un prodotto:
- Produrlo volutamente in modo scadente, così che abbia una vita breve (ma questo può nuocere al prestigio del marchio).
- Costruirlo in modo impeccabile, ma rilasciare ad un certo punto un aggiornamento che mira a limitarne la velocità (questo pare essere stato il caso di Apple, con il rilascio di iOS 10 e successivi).
- Produrlo in modo che funzioni perfettamente per i primi due anni, e che allo scadere della garanzia legale (2 anni) si deteriori rapidamente, rompendosi in qualche componente molto costoso da sostituire.
La nascita di questa pratica scorretta nei confronti dei consumatori nasce già agli inizi del 900, quando gli industriali si resero conto che prodotti durevoli avrebbero saturato il mercato e limitato fortemente le vendite. Nel 1924 pare che tutte le aziende produttrici di lampadine ad incandescenza si siano accordate per offrire una durata non superiore alle 1000 ore. Gli ultimi casi più eclatanti riguardano l’obsolescenza programmata di smartphone e altri dispositivi elettronici di largo uso.
Le accuse di obsolescenza programmata ad Apple e Samsung
Il codice al Consumo in Italia protegge i consumatori dalle pratiche volte ad accorciare la vita utile di un prodotto. Proprio per violazione del codice (degli articoli 20, 21, 22 e 24) Apple è stata condannata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La condanna è stata dovuta alla pratica messa in campo da Apple di rilasciare aggiornamenti capaci di rallentare i dispositivi senza nessun avviso previo ai consumatori e senza permettere il downgrade (cioè il ritorno ad una versione precedente del software).
L’aggiornamento incriminato è quello a iOS 10 e successivi. Questi aggiornamenti rallentavano i dispositivi (nello specifico gli iPhone 6) in cui batteria risultasse deteriorata. Apple, quando la cosa è venuta a galla, ha dovuto ammettere di essere a conoscenza del problema, e rilasciare un aggiornamento con una opzione che permette di disabilitare il rallentamento del processore sui dispositivi con batteria logorata. Inoltre, ha dovuto offrire ai clienti la possibilità di sostituire la batteria a prezzo agevolato.
Il basso costo della sostituzione della batteria e la messa al bando degli aggiornamenti volti al rallentamento dei dispositivi, sembra aver rallentato le vendite di iPhone come sostenuto da Tim Cook in occasione del lancio del bilancio.
Il caso di Samsung è simile ma diverso, con l’accusa sporta da AGCOM, di aver lanciato un aggiornamento di Note 4, programmato invece per Note 7. Che ha reso il vecchio terminale instabile e ne ha messo sotto sforzo l’hardware.
Quello che si contesta ad entrambe le aziende ed ha portato alla loro condanna, non è solo l’aver realizzato aggiornamenti del genere, ma anche aver invitato ripetutamente e continuamente gli utenti all’aggiornamento, senza alcun avviso sugli effetti deleteri di questo e senza aver offerto alcuna alternativa.
Altri casi eclatanti di obsolescenza nel mondo tecnologico
Oltre all’obsolescenza programmata dei cellulari, un altro campo dell’elettronica colpito è stato quello delle cartucce per stampanti, dove i produttori sono accusati di settare i chip delle cartucce in modo che segnalino che la cartuccia è vuota quando ancora è presente un 20% di inchiostro. In rete fioccano le guide che spiegano come sbloccare le cartucce e stampare fino al loro reale esaurimento. Loro sostengono che è una misura volta a prevenire problemi alle stampanti, e a garantire sempre un’ottimale qualità di stampa.
iFixit, nota compagnia che produce kit per permettere la riparazione fai da te degli iPhone e degli iPad, ha accusato già nel 2011 Apple di aver modificato appositamente le viti interne, per rendere più difficile la sostituzione della batteria.
Sempre Apple, nel 2003 fu già costretta ad un accordo in tribunale. Gli utenti la avevano citata in giudizio perché gli iPod parevano essere stati costruiti appositamente con una batteria scadente, che dopo circa 18 mesi moriva richiedendo una costosa sostituzione.
In moltissimi altri casi come in quello del chip T2 presenti nei nuovi Macbook Pro e iMac Pro, il confine è sfumato. Il chip da un lato offre miglioramenti prestazionali, ma nel mentre impedisce la sostituzione di componenti da mani terze.
Come possono i consumatori difendersi dall’obsolescenza programmata?
In primo luogo portando in Italia i casi eclatanti all’attenzione dell’AGCOM, visto che il codice al consumo è chiaro. Negli USA invece si procede a colpi di Class Action.
Inoltre, ci sono apposite associazioni che si battono per i diritti di noi consumatori e contro l’obsolescenza pianificata. La più attiva è probabilmente la francese HOP (Halte à l’Obsolescence Programmée), che lotta contro i casi di obsolescenza programmata e per la riparabilità dei prodotti.
In Francia le loro campagne hanno già dato qualche frutto perché finalmente un grande paese si è dotato di una normativa che condanna e sanziona questo comportamento.
La riparabilità e la fine dell’obsolescenza è importante anche per contenere il numero di rifiuti prodotti dalla nostra società e che ormai risultano sempre più difficili da smaltire.